Venerdi, 26 aprile 2024 - ORE:13:16

Marcello Dell’Utri condannato anche in appello

marcello dell'utri

L’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri è stato condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza è stata emessa nel pomeriggio di lunedì 25 dal Tribunale di Palermo. «La mia condanna? E’ il mio romanzo criminale. Speravo in un’altra sentenza, ma accetto il verdetto», è stato il primo commento dell’ex parlamentare. Poi, prima di lasciare l’aula giudiziaria, ha allargato le braccia, sospirando: «Fiducia? E’ una parola grossa. Io continuo ad avere tranquillità. Ci sarà la Cassazione. Ci stava l’assoluzione, ci stava anche la condanna », ha aggiunto.

Una sfilza di accuse che non finisce più

Tra condanne, annullamenti, appelli, parziali conferme delle condanne, la sintesi di quanto addebitato all’ex parlamentare Pdl riguarda la sua contiguità alla mafia. «Vi è la prova -aveva scritto in primo grado il collegio nella motivazione della sentenza del 2004 poi annullata- che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perchè era in corso il dibattimento di questo processo penale».

Ha permesso la “discesa in campo” di Berlusconi

Patronaggio, nella requisitoria che ha preceduto la sentenza, ha detto che «Marcello Dell’Utri, permettendo a Cosa nostra di ‘”agganciare” Silvio Berlusconi, ha consentito alla mafia di rafforzarsi economicamente, di ampliare i suoi interessi, il suo raggio d’azione, di tentare di condizionare scelte politiche governative in relazione al successivo ruolo politico assunto da Berlusconi». «Questa condotta – ha ribadito il Pg – è stata perpetrata dall’imputato coscientemente, conoscendo e condividendo il metodo mafioso dell’organizzazione, perseguendo il fine personale del rafforzamento della sua posizione all’interno delle varie aziende e iniziative di Silvio Berlusconi».

E ancora: «Occorre richiamare, proprio per la complessità di lettura dei rapporti tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, come emerge dalle concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sentiti, la condotta dell’imputato e mediò la rinnovata richiesta estorsiva di Salvatore Riina, che facendo pressioni e violenze sull’imprenditore milanese, intendeva “agganciare” l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi».

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